Gentile Avvocato,
sono stato parte in qualità di convenuto in una vertenza che ha avuto la durata di ben dieci anni e si è conclusa con una sentenza a me sfavorevole. Attualmente ho proposto ricorso in appello. Posso richiedere il risarcimento per l’eccessiva durata del processo di primo grado anche se ho perso la causa?
Sono ancora in tempo per proporre la domanda? E in caso positivo, che tipo di risarcimento posso richiedere?
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L’ordinamento italiano ha predisposto una speciale procedura ( legge 24 marzo 2001 n. 89: c.d. legge Pinto) per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’eccessiva durata del processo, sia esso civile, penale o amministrativo.
Più precisamente, la legge 89/2001 all’art. 2 stabilisce che: “Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955n. 848, ha diritto ad una equa riparazione in relazione del mancato rispetto del termine ragionevole di durata di cui all’art. 6, del paragrafo 1, della Convenzione stessa”.
Nella Giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Cassazione, la durata di un processo viene considerata ragionevole ove sia stata contenuta in tre anni nei processi di primo grado e in due anni per i giudizi di impugnazione. Laddove il processo abbia avuto una durata eccedente a tale termine, sorge il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Il diritto al risarcimento può essere chiesto da chiunque abbia assunto la qualità di parte processuale (attore o convenuto) e prescinde dall’esito del processo: ciò vuol dire che può essere richiesto sia dalla parte vittoriosa che da quella soccombente.
L’equa riparazione prevede il risarcimento sia dei danni patrimoniali che non patrimoniali. In relazione ai primi occorre dimostrare che il lungo iter processuale, di cui si lamenti l’eccessiva durata, abbia causato specifici danni al patrimonio (per esempio la perdita di reddito, ovvero l’impossibilità di acquisire proventi). Per quanto riguarda, invece, i danni non patrimoniali, la Corte di Cassazione si è adeguata a quanto statuito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale conferma che, in tema di equa riparazione “ai sensi dell’art. 2 L. n. 89/2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
In sintesi: poiché il danno non patrimoniale costituisce conseguenza della violazione, è normale che l’irragionevole durata di un processo produca, nella parte coinvolta, afflizione, ansie, sofferenze morali che non occorre dimostrare. Le conseguenze non patrimoniali, quindi, possono ritenersi presenti senza il bisogno di alcuna prova relativa al singolo caso.
Per quanto riguarda il quantum dell’indennizzo, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente ha stabilito che il danno non patrimoniale possa essere stimato tra i 1.000 ed i 1.500 € di indennizzo per ogni anno di durata eccessiva, commisurato al termine di ragionevole durata del processo. La risultante di questo primo calcolo costituisce solo la base di partenza della valutazione e può subire un ulteriore incremento fino a 2.000 € in relazione all’importanza della materia oggetto del contendere (diritto del lavoro, stato e capacità delle persone, procedure particolarmente gravi in relazione alla salute o alla vita delle persone) nonché alle Corte territoriale competente.
L’introduzione della domanda di equa riparazione non influisce sul corso del processo eventualmente ancora in corso. La legge prescrive, infine, che la domanda di equa riparazione debba essere proposta entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito irrevocabilmente il giudizio. Il risarcimento può essere richiesto anche a processo ancora pendente. In questo caso verrà fatta una prima liquidazione e, se il processo non terminerà in un tempo ragionevole, potrà presentarsi un secondo ricorso per l’ulteriore segmento temporale di irragionevole durata, che darà luogo a una seconda ulteriore liquidazione.
Avv. Silvia Caravà
Studio Legale Caravà, Parma